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L’ultimo decennio è stato caratterizzato a livello internazionale da una crescente presenza di start-up unicorno, vale a dire nuove piccole imprese che hanno superato il miliardo di dollari di capitalizzazione nel giro di pochi anni.
L’era digitale fornisce molte opportunità di crescita non solo per le start-up innovative, ma anche per le piccole medie imprese. In Italia, gli incentivi del Piano nazionale Industria 4.0 e più recentemente il Piano di transizione 4.0, stanno spingendo molte piccole medie imprese a effettuare investimenti in tecnologia.
Molte di queste aziende si sono però rese conto che l’introduzione di una nuova tecnologia, di un software gestionale o di un nuovo impianto, da soli non bastano per portare un vero cambiamento, raggiungere significativi livelli di redditività e acquisire un adeguato vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.
Il cambiamento aziendale richiesto a chi si muove nel contesto attuale, riguarda anche la formazione di una cultura digitale all’interno della propria organizzazione. Ciò significa non solo familiarizzare con le nuove tecnologie digitali, ma anche adottare nuovi modelli organizzativi.
Qual è il miglior modello organizzativo per le piccole imprese?
Molti piccoli imprenditori si domandano quale sia il miglior modello organizzativo per le loro imprese. Si tratta di una domanda che non si presta a una risposta definitiva, poiché manca di molti altri elementi necessari per fornire un’adeguata consulenza aziendale.
Prima di definire un modello organizzativo è infatti necessario:
- Definire gli obiettivi
- Valutare i rischi
- Realizzare adeguate strategie di sviluppo
È possibile dare una risposta più generale alla domanda illustrando gli strumenti e i modelli adottati da chi ha saputo trarre un vero vantaggio competitivo dal cambiamento dello scenario globale tecnologico, politico ed economico degli ultimi anni e ha adottato una strategia di impresa premiante.
Le buone idee sono l’inizio, tutto il resto è azione
Nel mondo del business non basta avere delle ottime idee: la differenza tra il successo e l’insuccesso è data dalla messa a terra. Se mettere in pratica un’idea può essere un’attività di una certa complessità per il singolo, all’interno di un’organizzazione in cui sono presenti molte persone la complessità aumenta di conseguenza.
Le buone idee inoltre non sono una prerogativa dell’imprenditore o del manager, ma ogni membro di un’organizzazione può avere una buona idea.
Cos’è una buona idea in ambito aziendale?
Nel campo del business una buona idea è qualcosa che porta beneficio all’impresa: più fatturato, più marginalità, più quota di mercato, più rapidità, più solidità, meno tempo, meno costi, meno rischi, meno sprechi
Ciò che ha a che fare con un più di qualcosa o un meno di qualcos’altro è candidato per essere una buona idea. Per essere messa in pratica una buona idea necessita di elementi di concretezza. La concretezza si ottiene traducendo l’idea in obiettivi.
Come realizzare un’ottima strategia d’impresa
Fare strategia d’impresa vuol dire definire degli obiettivi e individuare delle strade per raggiungerli, ma in un’organizzazione, la strategia, per essere applicata e diventare azione richiede di essere diffusa, conosciuta e perseguita da tutta l’organizzazione.
Per una piccola media impresa, così come per una grande impresa tutto ciò rappresenta da sempre una grossa sfida. Tutte le teorie del management, in sintesi, si occupano di indicare idee su come individuare delle opportunità, definire degli obiettivi e trasformarli in azioni con il minor spreco possibile di risorse.
Ridurre lo spreco di risorse è un obiettivo caratteristico del lean thinking e mira allo stesso risultato che la teoria classica del management esprime con il concetto di efficienza. Ma il cambio di prospettiva non è semplicemente un gioco di parole, poiché conduce a una trasformazione mentale che permette di vedere l’organizzazione con occhi diversi e scoprire così facendo soluzioni innovative ai problemi.
Questo cambio di prospettiva è stato il maggior contributo che il lean management ha dato rispetto all’organizzazione classica del lavoro. Allo stesso modo, il metodo OKR rappresenta un cambio di prospettiva rispetto al modello classico (Management by Objectives o semplicemente MBO) per definire gli obiettivi di aziende, team e singoli.
I peggiori sprechi in un’azienda: talenti e cervelli
Il lean thinking ha individuato fin dalle sue origini sette tipi di spreco in un’azienda:
- Attese
- Trasporti
- Sovrapproduzione
- Scorte
- Movimenti
- Difetti
- Processi inutili
Con il passare del tempo, ci si è però resi conto che occorreva annoverare tra i possibili sprechi anche:
- Idee
- Talenti
- Cervelli
Risorse che l’organizzazione possiede ma può non utilizzare o non indirizzare efficacemente verso gli obiettivi più importanti.
Comunicare obiettivi e strategia aziendale con gli OKR
Come comunicare gli obiettivi e la strategia aziendale e indirizzare e valorizzare le capacità e gli sforzi dei dipendenti? Gli OKR hanno rappresentato una soluzione vincente per molte aziende di successo a partire da Intel, dove il metodo è stato inventato dal cofondatore e presidente Andy Grove.
Larry Page, cofondatore di Google, ha dato grande merito al contributo dato dagli OKR alla crescita di Google. Gli OKR sono stati adottati anche da AOL, Dropbox, LinkedIn, Oracle, Slack, Spotify e Twitter e tante altre aziende che da piccole start-up sono diventate nel giro di pochi anni big di successo.
Quando gli obiettivi aziendali complicano la vita
Uno studio pubblicato dalla Harvard Business school intitolato ‘Goals Gone Wild’ illustra come l’impostazione degli obiettivi aziendali può portare gravi effetti collaterali, quali:
- Un ristretto focus che trascura le aree non obiettivo
- Un aumento del comportamento non etico
- Preferenze di rischio distorte
- Una corrosione della cultura organizzativa
- Una ridotta motivazione intrinseca
Gli autori suggeriscono di trattare gli obiettivi aziendali con la stessa cautela di un potente farmaco: dovrebbero essere prescritti da un esperto, con un attento dosaggio, sotto una stretta supervisione e andrebbero considerati gli effetti collaterali.
Gli obiettivi possono ispirare i dipendenti e migliorare le performance, ma sotto determinate condizioni. Il venture capitalist statunitense John Doerr considera il metodo OKR uno dei migliori protocolli per la definizione e gestione degli obiettivi per le aziende, team e singole persone.
Gli OKR assumono un ruolo di rilievo nell’organizzazione aziendale e diventano un vero e proprio strumento strategico per il manager e l’imprenditore. Nelle start-up e nelle piccole medie imprese dove le persone devono assolutamente remare nella stessa direzione, gli OKR rappresentano uno strumento di sopravvivenza.
OKR: cosa sono e come funzionano
Gli OKR sono una metodologia di management che contribuisce a far sì che gli sforzi di tutto l’organico dell’azienda siano focalizzati sugli stessi elementi importanti. L’acronimo OKR sta per Objective and Key Results, vale a dire Obiettivi e Risultati Chiave.
Questa metodologia risponde alla domanda iniziale su come trovare percorsi evolutivi per le piccole medie imprese che dal punto di vista dell’organizzazione aziendale dovranno affrontare i cambiamenti e le sfide, ma anche cogliere le opportunità offerte della digital transformation. Opportunità che potranno cogliere ispirandosi ai modelli quali OKR che hanno portato al successo grandi e piccole imprese negli ultimi dieci anni.
Nel metodo OKR un obiettivo è semplicemente ciò che deve essere raggiunto. Per definire un obiettivo è necessario porsi la domanda: che cosa è più importante per i prossimi tre, sei, dodici mesi? A ogni obiettivo si assoceranno dai 3 ai 5 risultati chiave.
Raggiungere i risultati chiave con gli OKR
I risultati chiave sono il banco di prova che tiene sotto osservazione come si arriva all’obiettivo dandoci la misura di quanto ne siamo lontani o vicini. La caratteristica che contraddistingue i risultati chiave è che sono misurabili e verificabili, in pratica sono associati a un numero. Un risultato chiave deve essere formulato in modo che sia ragionevolmente raggiungibile nell’arco di un trimestre.
Sarà necessario che ogni risultato chiave abbia un responsabile e ciò comporterà che il responsabile del risultato chiave assumerà tale risultato come il proprio obiettivo associandoci a sua volta un tempo e dei Key Results.
L’intero piano OKR rappresenterà quindi una sorta di cruscotto aziendale in cascata e farà parte del sistema di reportistica aziendale. Metaforicamente è come fare il controllo di gestione nelle piccole imprese: deve essere semplice, sintetico, richiedere pochi sforzi, ma fornire grandi e importanti indicazioni sull’efficacia della gestione aziendale.
OKR vs MBO: cosa c’è di nuovo
La differenza sostanziale tra il metodo OKR e la classica gestione per obiettivi MBO, riguarda la possibilità di evitare gli effetti collaterali elencati nei paragrafi precedenti, poiché il metodo OKR prevede una trasformazione culturale ben precisa.
Innanzitutto, l’introduzione degli OKR comporta l’introduzione di una cultura collaborativa, della trasparenza e dell’errore.
La cultura collaborativa e della trasparenza è introdotta attraverso varie pratiche:
- I traguardi di tutti, dal CEO in giù, sono condivisi apertamente (tutti conoscono gli OKR di tutti)
- I singoli collegano i loro obiettivi al piano complessivo dell’azienda, tutti identificano le dipendenze reciproche e si coordinano con gli altri gruppi
- Le persone possono allinearsi agli obiettivi di altri indipendentemente dalla gerarchia aziendale
- Gli obiettivi aziendali vengono dall’alto, ma ognuno è libero di scegliere il modo in cui perseguire il proprio obiettivo e questo facilita il processo di delega e la motivazione
- Sono incoraggiati gli obiettivi che provengono dal basso (OKR bottom-up)
- Gli OKR non sono legati a compensi e incentivi economici personali
- Aiutare i colleghi è un KR personale
Collegando ciascun collaboratore al successo dell’organizzazione, l’allineamento top-down dà significato al lavoro. Rendendo più profondo il senso di proprietà delle persone, gli OKR bottom-up favoriscono coinvolgimento e innovazione.
Cultura dell’errore significa che le persone non sono punite per i loro errori e fallimenti, a patto che “sbaglino in fretta”. Ciò vuol dire che il fallimento deve essere subito intercettato e le rotte sbagliate subito corrette. Questo permette alle persone di correggersi e avanzare rapidamente verso gli obiettivi, far emergere rapidamente le buone idee e soffocare subito i potenziali disastri.
Approfondimenti
Lisa D. Ordóñez Maurice E. Schweitzer Adam D. Galinsky Max H. Bazerman, Goals Gone Wild: The Systematic Side Effects of Over-Prescribing Goal Setting. Harvard Business School, 2009.
Doerr, John. Rivoluzione OKR. Edizioni LSWR. 2019
Melanie Ashleigh, Angela Mansi, Giovanni Di Stefano. Psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Ediz. MyLab